venerdì 1 gennaio 2016

Pomeriggio invernale



Intorno alle quindici la cucina si riempiva di gente.
La zia ancora doveva finire di rigovernare.
Sotto la finestra vi era una pentola piena dell’acqua con cui erano stati lavati i piatti in attesa della crusca che ben rimescolata, sarebbe diventata un ben pastone per quel povero maiale che aspettava nella stalla.  
Le padelle erano appese dentro la cappa in cui scoppiettava un bel fuoco che ogni tanto veniva ravvivato con sterpi e pezzetti di pali di vigna tagliati a metà.
Sulla sinistra, appoggiato con il braccio ad una seggiola, stava, appisolato, il vecchio zio Biagio.
Il nonno era sceso nel bottaio a sistemare fiaschi e bottiglie.  
Il babbo era andato a lavorare.
La mamma sistemava la stanza da pranzo.
I ragazzi, non potendo uscire per il cattivo tempo si riscaldavano alla scoppiettante fiamma-
Toc toc si sentì. Che ora è? disse zio Biagio, aprendo un occhio.
Sono le tre, risposi. Vai ad aprire: questa è zia Carmina! Era lei.
Dopo un po’ un altro toc toc. Vai, questa è mia sorella Santa.
Ancora un altro toc toc e venne zia Assunta, poi zia Domenica e poi Comare Adelina, poi comare Antonia e infine comare Filomena.
Queste matrone occuparono tutti i posti. Venne pure la Mamma e zia Lucia che si mise a ravvivare la fiamma.
Fuori intanto nevicava. Si vedevano lampi e s’udivano tuoni cupi e profondi.
Il tramontano fischiava attraverso le fessure delle finestre.
Il nonno era ritornato portando una bottiglia di buon rosso.
Zia Lucia andò a prendere i bicchieri.
Narrate una favola! disse una voce di bimbo.
Così, tra un sorso e l’altro, cominciarono i racconti.
Ascoltate, disse zia Antonia.
C’era una volta un giovane che si era innamorato della figlia del Re. Per poterla sposare gli disse il Sovrano, devi portarmi, entro tre giorni, due uova e una penna dell’uccello grifone. Poi, vai agli inferi e portami pure…Il giovane partì…
Il racconto era ricco di poesia e la favola veniva trattata, anche se con povero linguaggio, in modo poliedrico, al limite del reale e dell'irreale.
C’era l’uccello grifone, il castello, una giumenta furiosa, un cerbero dagli occhi di fuoco, forze magiche e soprannaturali, montagne che sparivano e uscivano poi dalle nuvole, guardiani, nidi irraggiungibili, spiriti, demoni e maghi che intrecciavano le loro azioni tra soffi di vento e di pioggia e lampeggiar di fulmini.
E c’era soprattutto l’eroe che riusciva sempre a vincere il gioco, che era, se vogliamo, quello dell’esistenza umana proiettata in un ambiente di sogno, astratto e atemporale.
Zia Antonia parlava, parlava. Sudava.
Il viso fatto vieppiù rubizzo dalla fiamma che scoppiettava proprio davanti, e l’ampio vestito di panno che avvolgeva la sua corpulenta figura.
La nostra attenzione era al massimo e alla fine sopraggiungeva anche la commozione quando la narratrice, dopo aver partecipato, come diceva, al matrimonio del giovane principe, sulla via del ritorno venne ferita ad un piede da una spina.
Mentre accennava a mostrarcela, tra la nostra curiosa attenzione, diceva: se la tocco, sento un gran male!
Faccela vedere. Faccela vedere, dicevamo in coro.
Sorrideva abbassando di più l’ampia veste e sorseggiando il suo meritato bicchiere di vino.
La fine del racconto coincideva con il sopraggiungere del buio
La cucina si svuotava.
La mamma raccoglieva la brace ardente posandola nei bracieri di rame che distribuiva per la casa.
Noi ci mettevamo a studiare.
I piedi si raffreddavano presto e il fiato diventava vapore.
Fuori ormai nevicava senza pietà e senza vento, in un silenzio irreale.
Si avvertiva ogni tanto qualche calpestio ovattato dalla soffice bambagia che si attaccava alle suole.
Il silenzio era rotto dallo stridio di una paletta che toglieva la neve dal gradino di casa, e dal miagolare di un gatto che trovava la porta chiusa.
Non vedevamo l’ora di cenare e di godere il caldo tepore del letto.
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 da UOMINI, TRADIZIONI, VITA E COSTUMI DI MORMANNO

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