giovedì 5 maggio 2016

SERVIZI IGIENICI Tratto da Uomini, tradizioni, usi e costumi di Mormanno di Luigi Paternostro.



 I servizi igienici fino al dopoguerra


  Fino agli anni cinquanta le case non erano dotate di servizi igienici nella accezione moderna. In parte  usufruivano della rete fognante che non copriva tuttavia il  fabbisogno di tutto il paese. 

 Il bagno era costituito dal cèsso, un semplice water, collocato a livello terra. Poiché  questa  sua posizione presentava grosse difficoltà d’utilizzo, non veniva usato direttamente ma vi si depositava quanto si raccoglieva nei càntari (dal latino chantarus, barilotto, orcio) o nei vasi da notte, pisciatùri.  Erano oggetti di creta. I primi, svasati all’incontrario, servivano a raccogliere gli atti grossi e si tenevano generalmente in soffitta; gli altri nell’unica o nelle camere da letto. In altri tempi codesti arnesi si andavano a svuotare fuori paese e in posti ben determinati. Gli abitanti della Costa si recavano alla Mùrgia d’U Monachèḍḍu, quelli di S. Rocco alli Calànchi.  Altri posti di deposito erano sùtta ‘a Luggètta, alla Pètra Jànga, ‘ntr’à Muntagnèḍḍa. Ogni vicinato ne aveva uno. Questa operazione avveniva alle prime luci dell’alba. Non era infrequente però che il contenuto venisse anche gettato direttamente sulla strada, ‘ntra ‘a vaneḍḍa, che si puliva solo all’arrivo delle piogge torrenziali cui era appaltata, come scrisse Vincenzo Minervini in Mormanno d’una volta, la pulizia del paese.
Per venire incontro a quelle necessità già note a Tito Flavio, vi era, lo ricordo anche per averlo usato, un orinatoio pubblico per soli uomini collocato tra via De Callis e Piazza Umberto I in un sottoscala, quasi sùtta ‘u campanàru, di fronte alla porta d’ingresso della chiesa, a porticèḍḍa. (Vedi foto rarissima e personale).
Questo pisciazzàru era sempre intasato. A volte era privo di acqua. Puzzolente e sporco. Un pessimo biglietto da visita per paesani e forestieri. Quando gli scarichi si occludevano, cosa che capitava spesso, acqua ed orine si riversavano per la via, e, agevolate dalla sua pendenza, scorrevano lungo il pèzzu  deviando poi sotto il sagrato, fino a raggiungere la Marinella.
Questa lavina, orribile a vedersi e nauseabonda, era più consistente nei giorni festivi, soprattutto nelle ore pomeridiane per via delle libagioni domestiche e di quelle avvenute nelle cantine sparse qua e là per il paese.
Allora l’orinatoio era superaffollato. Molti, spinti dall’impellente necessità, non riuscendo ad entrare, facevano il bisogno all’esterno. Altri, data l’angustia del luogo, si pisciàvanoncòddru a vicenda, tra un vociare frammisto a risate e bestemmie. Il fumo delle sigarette e dei sigari, il rumore delle acque, facevano del posto la succursale di una fumarola.
Questi momenti, specialmente nei giorni festivi, coincidevano con il recarsi in chiesa per il Vespro  delle devote della Costa, sia quella di vàsciu  (Via Rossi, Santa Caterina) che quella di sùsu (Via Alfieri) che erano obbligate a passare quelle forche caudine.
  Per evitare uno spettacolo imprevedibile, (a volte si stava anche con le brache calate), si mettevano a correre verso l’ingresso della chiesa coprendosi il viso con il pannicèḍḍu o la vilètta. Molte, facevano il giro per via Alfieri e via Ludovico Romano ed entravano per la gradiàta.
Oggi?...!!! Ve lo faccio vedere, che succede! Non lo credereste!
Benché realizzato fin dal 1886, l’acquedotto, di portata e proporzioni ridotte, era stato pensato e costruito per fornire le sole fontane pubbliche.  Poche erano le abitazioni allacciate a tale servizio. L’acqua si attingeva ai pizèrri  sistemati in punti strategici o portata anche direttamente dalle campagne irrigue anche a dorso d’asino. I varliri si portavano in testa poggiati sulla curòna – cercine – oppure ‘ncìnta, cioè sull’anca. Si conservavano nel varlàru, una nicchia posta generalmente dietro la porta d’ingresso,  che conteneva più sotto pure un semplice bugliolo di creta, ù cèssu già descritto.
 Tra le fontane comunali ricordo ‘ù pizèrru della Tùrra, di Pàci, di Sant’Anna, della Càsa à terra – vecchio Municipio –, di Sàn Roccu,  d’U Fòssu. Tale fontana aveva un frontale  sul quale  si leggeva, dettata dal reverendo professore Vittorio Pandolfi, la seguente scritta: Diu optatam, nunc laete bibimus (dopo averla desiderata per lungo tempo, ora lietamente beviamo).
 Tra le sorgenti campestri ricordo: ‘A Fùci, al Pantano, rinomata per la temperatura; l’àccua  di  Don Carmine, a Donnabianca, per le virtù diuretiche; quella di Sànta Dumìnica, ricca di calcio, immessa nella rete idrica; l’àccua d’à Saliverà cui attingevano i paesani sia scendendo per la Luggètta,  sia chi si ritirava dalle campagne di San Brancato, Colle di Ferruzzu, e Filomato.


Nessun commento:

Posta un commento