I
servizi igienici fino al dopoguerra
Fino agli anni cinquanta le case non erano
dotate di servizi igienici nella accezione moderna. In parte usufruivano della rete fognante che non
copriva tuttavia il fabbisogno di tutto
il paese.
Il bagno
era costituito dal cèsso, un semplice
water, collocato a livello terra. Poiché
questa sua posizione presentava
grosse difficoltà d’utilizzo, non veniva usato direttamente ma vi si depositava
quanto si raccoglieva nei càntari (dal latino chantarus, barilotto, orcio) o nei vasi da notte, pisciatùri. Erano oggetti di creta. I primi, svasati
all’incontrario, servivano a raccogliere gli atti grossi e si tenevano generalmente in soffitta; gli altri
nell’unica o nelle camere da letto. In altri tempi codesti arnesi si andavano a
svuotare fuori paese e in posti ben determinati. Gli abitanti della Costa si recavano alla Mùrgia d’U Monachèḍḍu, quelli di S.
Rocco alli Calànchi. Altri posti di deposito erano sùtta ‘a Luggètta, alla Pètra Jànga, ‘ntr’à Muntagnèḍḍa. Ogni vicinato ne aveva uno. Questa operazione
avveniva alle prime luci dell’alba. Non era infrequente però che il contenuto
venisse anche gettato direttamente sulla strada, ‘ntra ‘a vaneḍḍa, che si puliva solo all’arrivo delle piogge
torrenziali cui era appaltata, come scrisse Vincenzo Minervini in Mormanno d’una volta, la pulizia del
paese.
Per venire incontro
a quelle necessità già note a Tito Flavio, vi era, lo ricordo anche per averlo
usato, un orinatoio pubblico per soli uomini collocato tra via De Callis e
Piazza Umberto I in un sottoscala, quasi sùtta
‘u campanàru, di fronte alla porta d’ingresso della chiesa, a porticèḍḍa. (Vedi foto rarissima e
personale).
Questo
pisciazzàru era sempre intasato. A volte era privo di acqua. Puzzolente e
sporco. Un pessimo biglietto da visita per paesani e forestieri. Quando gli
scarichi si occludevano, cosa che capitava spesso, acqua ed orine si
riversavano per la via, e, agevolate dalla sua pendenza, scorrevano lungo il pèzzu deviando poi sotto il sagrato, fino a
raggiungere la Marinella.
Questa lavina,
orribile a vedersi e nauseabonda, era più consistente nei giorni festivi, soprattutto
nelle ore pomeridiane per via delle libagioni domestiche e di quelle avvenute
nelle cantine sparse qua e là per il paese.
Allora l’orinatoio
era superaffollato. Molti, spinti dall’impellente necessità, non riuscendo ad
entrare, facevano il bisogno all’esterno. Altri, data l’angustia del luogo, si pisciàvano ‘ncòddru a vicenda, tra un vociare frammisto a risate e bestemmie.
Il fumo delle sigarette e dei sigari, il rumore delle acque, facevano del posto
la succursale di una fumarola.
Questi momenti,
specialmente nei giorni festivi, coincidevano con il recarsi in chiesa per il Vespro
delle devote della Costa, sia quella di vàsciu (Via Rossi, Santa Caterina) che quella di sùsu (Via Alfieri) che
erano obbligate a passare quelle forche caudine.
Per evitare
uno spettacolo imprevedibile, (a volte si stava anche con le brache calate), si
mettevano a correre verso l’ingresso della chiesa coprendosi il viso con il pannicèḍḍu o la vilètta. Molte, facevano il giro per via Alfieri e via Ludovico
Romano ed entravano per la gradiàta.
Oggi?...!!! Ve lo faccio vedere, che
succede! Non lo credereste!
Benché realizzato fin dal 1886,
l’acquedotto, di portata e proporzioni ridotte, era stato pensato e costruito
per fornire le sole fontane pubbliche.
Poche erano le abitazioni allacciate a tale servizio. L’acqua si
attingeva ai pizèrri sistemati in punti strategici o portata anche
direttamente dalle campagne irrigue anche a dorso d’asino. I varliri si portavano in testa poggiati
sulla curòna – cercine – oppure ‘ncìnta,
cioè sull’anca. Si conservavano nel varlàru,
una nicchia posta generalmente dietro la porta d’ingresso, che conteneva più sotto pure un semplice
bugliolo di creta, ù cèssu già
descritto.
Tra le fontane comunali ricordo ‘ù pizèrru della Tùrra, di Pàci, di Sant’Anna, della Càsa à terra – vecchio Municipio –, di Sàn Roccu, d’U Fòssu. Tale fontana aveva un
frontale sul quale si leggeva, dettata dal reverendo professore
Vittorio Pandolfi, la seguente scritta: Diu
optatam, nunc laete bibimus (dopo
averla desiderata per lungo tempo, ora lietamente beviamo).
Tra le sorgenti campestri ricordo: ‘A Fùci, al Pantano, rinomata per la
temperatura; l’àccua di
Don Carmine, a Donnabianca,
per le virtù diuretiche; quella di Sànta
Dumìnica, ricca di calcio, immessa nella rete idrica; l’àccua d’à Saliverà cui attingevano i paesani sia scendendo per la Luggètta, sia chi si ritirava dalle campagne di San Brancato, Colle di Ferruzzu, e Filomato.
Nessun commento:
Posta un commento