‘A lìnna ‘a
lìnna …a Sangisèppi!
Dal latino cum-vivo, vivo insieme, convivo,
la parola, oltre al significato anzidetto, ha assunto già nei tempi antichi,
vedi Quintiliano, il senso di mangiare insieme.
Il verbo convivo nella sua forma deponente, diventa convivor con il significato di banchettare.
Il linguaggio dei nostri padri passa
direttamente nel nostro, il termine diventa, a Mormanno, cummìtu, tradotto in lingua in convito.

E qui è anche doveroso
entrare in fondo al discorso e
sottolineare la differenza tra cummìtu e
mmìtu.
Il primo ha il significato di partecipazione
ampia di persone.
Il secondo, senza il cum, esclude l’ampiezza dei
partecipanti, restringendo la cerchia a pochi.
La differenza quindi tra cummìtu e mmìtu non è solamente grammatico-letteraria, ma sostanziale come
atteggiamento e valore di vita.

Lo stare insieme e
soprattutto il mangiare insieme è un atteggiamento e un modo di agire
specifico dell’uomo.
Senza scomodare la psicologia, ma appena la
storia, è in quella occidentale che troviamo descritti famosi conviti a
cominciare da quelli citati da Omero (i banchetti dei Proci nella reggia di
Ulisse, quello presso i Feaci), i
simposi romani raccontati da Petronio nel Satiricon, le
nozze di Cana, Vangelo secondo Giovanni (2,1-11), per passare alle loro raffigurazioni,
in dipinti sui vasi etruschi, in affreschi pompeiani, e più vicino nel tempo,
in vari cenacoli tra cui il famosissimo vinciano presente in Santa Maria delle
Grazie, Milano, fin dal 1498.
Attraversando
rapidamente il passato, arriviamo a Tortora
per incontrare un concittadino girovago pittore[1]
che affrescando la decollazione del Battista, ci descrive un banchetto
sontuoso in un ambiente finemente
signorile impreziosito da una tavola riccamente e variamente imbandita.
Dopo
questo excursus rieccoci a Mormanno per il Convito
di San Giuseppe.
Da quanto tempo si svolge?
Chi ha introdotto la tradizione[2]?
Sono domande interessanti per avviare una ricerca. Restano purtroppo senza una
risposta certa e documentata perché non ne ho trovata menzione negli scritti
degli storici paesani.
Sembra che il cummìtu si fosse fatto per la prima volta
per ringraziare il Santo per favori ricevuti da un valdese di Guardia
Piemontese rifugiatosi a Mormanno. Costui vide in sogno il Patriarca che gli
suggerì di invitare a pranzo tre poveri: una persona anziana, una donna e un bambino come se fossero proprio i
componenti della sacra famiglia: Giuseppe, Maria e Gesù Bambino[3].
La cosa
ebbe seguito e col tempo furono invitate più persone, specialmente indigenti.
A Mormanno, fino agli inizi
del secolo scorso, questo fatto delle tre persone era ancora ricordato. In
certe famiglie, come quella dei Filomena, una tale Donna Angelina, siamo negli
anni quaranta, invitava giusto tre persone.[4]
Leggenda e...storia.
Il fatto è che durante tutto
il 1800 ed il decorso 1900 (e qui attingo direttamente alla mia memoria), a
Mormanno, per il 19 marzo, si tenevano più conviti.
Si aprivano a tutti i portoni
di casa.
I conviti si svolgevano a
casa Rossi, a memoria della signora Brigida Rotondaro, zzà Brìcita, a casa di Temistocle Armentano, don Timìsticu, in molte altre case di contadini, agricoltori e massàri.

Oggi è deputato alla
continuazione della tradizione il Centro
Anziani.
Il pranzo consisteva in un
piatto di tagliolini e ceci; un assaggio di fagioli; un pezzo di baccalà
fritto, un bicchiere di vino, acqua e pane.
La
razione era individuale e non ripetibile nello stesso posto.
I più affamati giravano il
paese in cerca di altre case ospitali.
La devozione verso S.
Giuseppe si manifestava anche preparando e distribuendo, sia in casa e sia in
chiesa, dopo la prima messa[5], panittèḍḍi, panini, ed allestendo, nel pomeriggio
ed in ogni vicinato, la fagòna, il
falò, che bruciava legna procurata da schiere di
ragazzi che almeno un mese prima avevano bussato e ribussato a tutte le porte
del proprio rione, gridando ’a lìnna ’a
lìnna a Sangisèppi[6].
[1]
Genesio Galtieri, anno 1799, volta della
chiesa di S. Pietro in Tortora. Il dipinto non esiste per il crollo della volta
avvenuto negli anni ’50. Il bianco e nero che vediamo è una foto fatta scattare
prima della demolizione dal parroco pro tempore don Francesc o Donadio da
Castrovillari-
[2]
Suggerite dall’amico e compaesano Ottavio Mazzafera, residente a Mentone.
[3] Vedi
nota precedente.
[4]
Casa Filomena era quella che aveva avuto i natali il fisico Francesco. La Donna
Angelina che io stesso ricordo, era la madre del notaio Vincenzo e dell’avv.
Luigi.
[5] La messa si celebrava sul far del giorno.
[6] Dove si trovano i due dipinti raffiguranti la
Morte di San Giuseppe?
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