mercoledì 21 febbraio 2018

All’Italia Firenze, 6 maggio 2007 Ancora attuale dopo 11 anni!


Leggendo Dante, parafrasando Leopardi e ricordando altri poeti e letterati.

O patria mia, cadono mura, archi e colonne.
Illusioni e sforzi
dei nostri avi.
Ma ancor altro io vedo.
Vedo ladri, imbroglioni, arruffatori,
troie e puttane
da siliconati petti
che ti rendono inerme,
denudata, irrisa, svergognata.
Qual porcheria, quale schifezza io veggio.
Sento suonare solo bunga bunga.
Chiedo al cielo
e al mondo: dite, dite,
chi la ridusse a tale?
C’è ancor di peggio?
Si!
Ancora braccia di catene carche.

I giovani?
non considerati,
a lor stessi lasciati,
sconsolati,
rifiutati dalle istituzioni
che dovrebbero nascondere la faccia
e pianger di vergogna
per tutto il male che compiendo vanno.
L’itala speme or corre destinata
ad altra sorte
da feticci allettata e da illusioni,
da rombi di motori,
da falsi promotori,
da isole famose,
da sballi quotidiani,
da pederasti insani.

Tutti i nostri signori governanti
con il culo attaccato alle poltrone,
massa indistinta di poveri ignoranti,
messi qui nella vigna a far da pali,
continuano nel danno e nello scorno
servi ed ancelle del beffante Creso
che se ne fotte di chi parla e scrive
e del potere avuto si fa vanto
dimenticando e questo e quello
ed il valore della stirpe antica.

Il grande capo ha una sola idea
perseguita con fervida costanza:
disunire il popolo italiano
che cercò sempre con sangue e con fatica
di svincolarsi dalla mal baldanza
di cesari ammantati d’auree bende
e d’arroganti e ameni presidenti.

Dopo gli anni cinquanta
si sperarono orizzonti senz’ armi.
Ma fu vano desio!
Dopo l’atomica
tanti altri fochi
e tanto sangue ancora
inondò la Terra.
Africa, Cina,
Vietnam, Palestina,
suonaron d’armi e di voci di guerra
e carri e grida e suono di timballi
in estranee contrade
ucciser tanta inerme umanità.

Da tutto il contesto ch’hai tu visto,
nulla hai imparato, amata Italia mia.
E c’eran fumi, polveri e spade,
tra nebbia, lampi,
atomi vaganti,
di madri pianti,
tremebondi figli,
campi sparsi di corpi moribondi.

Hai fabbricato invece nuovi acciari
fornendoli a tanta gente oppressa
che moriva
per la famiglia, la libertà,
il pane,
beffeggiata da infami dittatori
incuranti di chi tanto languìa
per la loro ricchezza ed albagia.

Tu fabbricasti armi, Italia mia.
Per portar poi soccorso
sei andata a guerreggiar
su altre sponde.
Avresti con diversi altri sostegni
onorato più impegni
pacificando animi e tensioni.
una strada che non hai percorso.

Poi, a chi lotta
per sottrarsi a morte in patrio suol,
di lacrime sparse ambo le guance,
e con le mani giunte viene
implorando aiuto,
sai fare viso muto.
Ormai più non governi neppure
i figli tuoi.
Il siculo, il calabro, il campano,
il pugliese, il lucano, il molisano,
che han fatto la ricchezza del Paese
stiano nel sud.
Siete i terùn, non pagate i tass,
non vi piace il laùr, statevi là.
Roma ladrona non sarà padrona.
Fora dai ball come i maroc.
Povera Italia!
A chi fuggìa cancelli e focolari
hai dato in faccia,
tanti pesci amari.

Povera Italia,
come sei in basso.
Che risate fai fare al mondo intero
che non segue oramai nessun tuo passo.
Eppure un dì gli fosti sentiero!

Povera Italia, di dolore ostello
nave senza nocchiero in gran tempesta,
non donna di provincia ma bordello.

tempo ormai di una gran burrasca,
d’uno tsunami, una provvida scopa,
quella di don Lisandro,
per ripulire ogni meandro,
per spazzar via i ladri,
gli imbroglioni,
i subdoli lenoni,
gli arrivisti,
chi vende religioni,
i mistificatori,
le legioni
di sfaccendati,
le solite facce,
i soliti inamovibili soloni,
la mandria
dei pecoroni,
i novelli proci
e i taffianti orchi,
cui darei una pesante zappa
da far curvar la schiena,
da far venir le piaghe
anche alla nappa
che paluda lor groppe.
Vadano a casa
i tanti girella e insieme a loro
i re travicello.

La festa è finita, i guasti
son tanti
siamo rimasti
davvero in mutande.

Or basta, si, basta!
Nuovi destrieri,
altri pensieri
vuole l’Italia.
Questo si spera.
Col petto ansante
e vacillante
il piede
non potrò più pugnar.
Dammi o ciel che sia foco agli italici petti
il fuoco mio
e che nell’alma terra
finisca questa guerra.
Scherzare ormai non vale.
S’accenda nuova face
di pace
sociale.
 



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