giovedì 22 febbraio 2018

BREVE STORIA DI MORMANNO

 “Chi, movendo da Napoli alla volta della Calabria, giunto là dove questa confina con la Basilicata, volgasi a destra, vede fra i monti il principio di un abitato.  
Quivi è Mormanno, terra in cui vive gente operosa e sagace, mostrando che presso al nido dell’aquila suol trovarsi la cura dell’ingegno. 
Nel tempo degli avi nostri fu detta l’Atene calabra, nome che i loro giovani nipoti hanno il dovere di renderle. 
Io la saluto intanto e le chiedo scusa se altro per essa non ho potuto che amarla e pregiarmi d’esservi nato. 
Ciò avvenne il 22 gennaio 1803, mentre la città era riccamente vestita di neve e le case inghirlandate da diaccioli pendenti dalle gronde”.

Il pensiero è tratto dal libro Schizzo del mio testamento, all’inizio del I capitolo, sotto il titolo Il mio nido di neve scritto da Domenico Anzelmi (Vedi il mio: Uomini illustri di Mormanno, pagina 62, 63). 


La nascita di Mormanno risalirebbe, secondo studiosi locali, in pieno medioevo bizantino.  Poche e insicure sono le memorie.

Possiamo notare come, dopo la conquista giustiananea, conclusa dalla lunga e durissima guerra greco-gotica, tutta l’Italia meridionale sia divenuta bizantina.

 La successiva calata dei Longobardi lasciò all’impero d’oriente la Calabria meridionale e centrale e la Terra d’Otranto, perché tutta la zona che si estende dal corso del Crati alla Campania e alla Puglia venne assorbita dal ducato di Benevento che si scisse poi nel principato omonimo e nell’altro di Salerno. 

E ciò fino a quando l’azione militare di Niceforo Foca riuscì a strappare ai Longobardi la Calabria settentrionale, la Lucania centrale e orientale e la Puglia, sia pure con incerti ed ondeggianti confini, ma non la Lucania occidentale, che rimase sempre longobarda fino alla conquista normanna. 
In conseguenza si può dire che se l’ellenizzazione della Calabria meridionale e della Terra d’Otranto in possesso dell’impero dal 554 all’arrivo dei Normanni non può stupire, ci colpisce invece la grecità che si nota nella Calabria settentrionale, nella Lucania centrale e nelle Puglie, bizantine dall’886 alla metà dell’undicesimo secolo”. Biagio Cappelli Medioevo Bizantino nel Mezzogiorno d’Italia.  

Il nome del posto appare per la prima volta agli inizi del X secolo d.C. in un racconto sulla vita di San Leoluca da Corleone che passò molto tempo in algore montium miromanorum, nel freddo dei monti di Mormanno.  La zona mercuriense fu particolarmente adatta ai desideri dei monaci greci.

Dalla Vita di San Nilo, Atti SS., sept. VIII, 802, leggiamo:
Congregati in tuguriolis, in antris, in arboribus ipse vetustate concavatis, vitam dietim belluinam nisi eam coelestem potius et angelicam nuncupare divina in eam eloquis perducerent. Cibus erat ipsis glandes, castaneae fructusque, quos vicina regio coeli benignitate ministrabat et herbam radices; vestitus animalium pelles at tegendos potius artus, quam ad frigoris arcendos rigores. Vivebant extra carnem in carne, extra saeculum in saeculo; mundus eos non agnoscebat; eorum conversatio in coelis erat.
Rifugiati in tuguri, in caverne, negli stessi alberi concavi per la loro vecchiezza, conducevano una vita simile alle bestie, questo era il prezzo per il Paradiso. Si cibavano di ghiande, castagne e di quello che il posto offriva, comprese erbe e radici. Vestivano con pelli di animali per proteggere gli arti ed il corpo e per sopportare i rigori del freddo. Erano in carne senza mangiar carne, fuori dal mondo pur nel mondo che non conoscevano. Parlavano e dialogavano con il Cielo.

Gli asceti basiliani santificarono le aspre balze costruendo, spesso in luoghi impervi, chiese e monasteri ormai dispersi.

Il nome potrebbe aver avuto origine secondo Alessio, Dizionario di toponomastica, UTET, 1990, dal personale germanico Marimannus o Merimannus.   
Potrebbe anche riferirsi alla presenza di militari germanici, gli arimanni, prima aggregati all’esercito longobardo e poi usati come mercenari ai quali il Principe di Salerno e Capua avrebbe concesso un territorio compreso tra il gastaldato di Laino e la rocca di Papasidero detto appunto mons arimannorum.
Vedi pag.18 de Il Paese Grigio di Napolitano-Grisolia, ed. Maganò Bordighera 1990. 

Per una più chiara comprensione devo sottolineare che la storia civile si va confondendo con quella religiosa. 
Della prima non si hanno documenti, tranne pochi atti quali annotazioni o passaggi di proprietà tra famiglie dominanti. 
La seconda si desume da quelli esistenti e presso l’archivio parrocchiale e meglio presso quello vescovile di Cassano allo Jonio di cui il paese dipese, fin dalla sua origine. 

Si accentuava intanto la divisione tra potere civile e potere religioso. Il primo, che comprendeva anche l’amministrazione della giustizia, continuò ad essere affidato alla nobiltà, quello feudale, ai vescovi di Cassano.
Qui debbo notare l’inesistenza di un archivio storico e l’impossibilità di consultare atti anche notarili che sono andati tutti dispersi per mancanza di conservazione e classificazione.

Il toponimo Μυρομαννασ, Muromannas, figura in un testo redatto in lingua greca dell’anno 1092.
Vedi: Biagio Cappelli, ibidem pagina 41. A proposito di lingua greca, voglio ricordare che a Mormanno si officiò in greco fino al 1324.  A Laino tale rito si protrasse fino al 1562.  

In un documento datato 3 dicembre 1101, appare il nome di Miromannum a proposito di una donazione che sarebbe stata fatta da Ugo di Chiaromonte, vassallo del Principe di Salerno e Capua, al vescovo Sasso della diocesi di Cassano allo Jonio. 
Di tale scrittura che ritengono valida e veritiera parlano e Padre Francesco Russo in Storia della Diocesi di Cassano allo Jonio Napoli 1964 e il prof. Domenico Crea prima in Guida storica alla rievocazione del 1101 Ed. Il Coscile, pag. 31, 2002 e poi in Mormanno dalle origini alla fine del XVI secolo, Calabria Letteraria Editrice, 2008, pag.80,81,93,103,114,129.   
  
Tale atto che io stesso in un primo tempo, traendolo dal citato P. Russo, avevo considerato vero, è, come fortunosamente ho scoperto, un falso storico. (vedi il mio Poveri e ricchi del settecento mormannese, Phasar, 2015)
La vantata donazione è paragonabile a quella che, protagonisti Costantino e Silvestro, spuntò fuori inaspettatamente nell’ottavo secolo in seguito alle vicende politiche che interessarono il papato di Stefano II. 
Come l’umanista Lorenzo Valla, aveva dimostrato in modo inequivocabile la falsità della donazione su cui il papato aveva fondato la legittimità giuridica del suo potere temporale anche sulla base delle incongruenze filologiche rilevate nel documento da Niccolò Cusano in De falso credita et ementita Constantini donatione 1440, così più tardi e con pari professionalità e impegno, un avvocato mormannese, Vincenzo La Terza, difendendo l’Università di Mormanno, dimostrò l’infondatezza delle pretese dei Vescovi di Cassano. 
Nella storia della Chiesa si ritrovano spesso e volentieri donazioni, a volte liberali. Solo per riferimento storico-letterario ricordo le grosse perplessità già espresse da Dante, Inferno,XIX, vv. 115-117:    Ahi Costantin di qual mal fu matre non la tua conversion ma quella dote che da te prese il primo ricco patre. 

A proposito del contenzioso settecentesco tra il Vescovo di Cassano allo Jonio e l’Università di Mormanno, vedi pure:
Ordo feudalis, ordo civitatis. di Saverio Napolitano in Archivio storico per la Calabria e la Lucania, Anno LXXVII 2011 - pag 133-176.

Nel 1108 in una nota dotale si parla di beni posseduti a Muromana da tale Trotta figlia di Altruda che ne fa dono all’abate Nilo del monastero di Carbone.  L’atto è compilato dal papas Costantino, prete di Muromanas

Il monastero di Carbone fu fondato dai Santi Elia ed Anastasio dell’ordine di San Basilio quivi giunti dal Mercurion e fu parte della nuova eparchia della valle del Sinni. Di esso rimangono solo pochi ruderi in località Valle Cancello.

Nel 1186 in un documento scritto in latino appare Muromanna.
Biagio Cappelli ibidem pag.  38.


Nel 1195 un certo Pietro chiede ad Ilario, archimandrita del monastero di Carbone, di ornare la chiesa di S. Caterina di Muromannas.

Nel 1274 in un atto diretto al vescovo di Cassano allo Jonio, appare: 
“Miromagna in quo sunt fucularia hominum ultra ducentum et tres et valet annuatim auri unciae XXXV. Nella città di Mormanno vi sono oltre duecentotre fuochi che producono una rendita annuale di 36 once d’oro.
L’oncia aveva un valore monetario variabile. In dialetto, ùnza, significa pochezza, miseria. 
Non vàli mancu n’ùnza significa è di pochissimo valore. 
Riferito a persone significa inaffidabilità, miseria morale. La voce focularia, cioè focolare, è sinonimo di famiglia. Fuochi sta quindi per famiglie.    

In uno scritto della cancelleria Angioina, datato 27 luglio 1304 si parla di “terra Miromagne”.Napoli, Archivio di Stato, volume 155 intitolato Carolus II, foglio 992. 
Tale dizione si ritrova pure in una petizione rivolta al vescovo di Cassano allo Jonio per riottenere il diritto di pascolo 
da parte de “li homini di Miromagne” sul territorio di Layno.
E. Pandolfi, Catalogo citato. 

In un atto della stessa cancelleria, volume 328, 16 marzo 1344, è menzionato ancora il nome della cittadina alla quale si concedevano privilegi di natura giudiziaria. 
“Pro universitate castri Miromagne ex Johanna ac regentibus Curiam Viarie Regni Sicili”. 
A favore della popolazione del castro (paese o luogo abitato) di Mormanno, da parte di Giovanna e dai reggenti la curia viaria del regno di Sicilia.
Il periodo storico è quello della lotta tra angioini e aragonesi. Universitas equivaleva all’insieme dei cittadini abitanti il castrum, paese o luogo ove la residenza era accertata e permanente.

Nel 1443 e nel 1465 in due diversi documenti rispettivamente di Alfonso I d’Aragona e di Ferdinando I d’Aragona diretti al vescovo di Cassano, si legge terrae Miromanni nel primo e Mormanno nel secondo. 
Su di una pergamena che conteneva un contratto di compra vendita redatto da tale notaio Francesco De Leone nell’anno 1555 ancora in possesso nel 1800 del signor Alberto Genovesi, sottoscrivono sei testimoni che dichiarano di essere di Miromagno.

In questo stesso secolo si segnala un verbale della consacrazione della chiesa parrocchiale in onore di Maria Vergine Assunta fatta dal Vescovo pro tempore Giovan Battista Serbelloni, mercoledì 15 settembre 1568
Ego D.nus Joannes Baptista Serbellonius, mediolanensis, episcopus consecravi ecclesiam ed altare hoc…
La costruzione di un edificio di culto richiese tempi diversi. Vediamo.
Il primo, più antico non sicuramente databile per mancanza di atti ma presumibilmente avvenuto intorno al 1100, vide l’impianto di una cappella dedicata a San Biagio, protettore della Diocesi di Cassano, che si trovava nel rione omonimo come ricorda Vincenzo Minervini in Mormanno d’una volta pag.15 (“esisteva presso il mattatoio una cappella dedicata a San Biagio. Io ne ricordo i ruderi, ora scomparsi. In essa vi era un quadro del Santo che ora si conserva in chiesa”). Il secondo fu la costruzione di un tempietto sul colle dell’Annunziata, pure dedicato a S. Biagio di cui continuava il culto, ed il terzo,1457, di una chiesa, attuale cripta, inaugurata, come ricordato, nel 1568, che modificata, ampliata e ricostruita, dopo due secoli di lavori, assunse l’attuale assetto,1790. Questa fabbrica, definitiva, ha inglobato tutto il preesistente.   
Questo tempio è ricco di opere.  Tra le più antiche segnalo: 
Madonna in trono con Bambino, in pietra arenaria, posta sul campanile protogotico databile al XIV secolo; 
Affresco della Madonna delle Grazie - prima cappella a sinistra- inizi del XVI secolo;
Fonte battesimale in marmo di scuola nolana datato 1578 e cappello ligneo dei primi del 1600; 
Edicola marmorea dell’Olio Santo del 1511;
Organo in legno di scuola napoletana costruito nel 1671;
Bassorilievi in pietra arenaria raffiguranti i Santi Pietro e Paolo, oggi ai lati dell’altare della Madonna del Rosario, databili alla fine del XIV secolo, già posti all’esterno quale decoro di un edificio adibito a corpo di guardia o, probabilmente, sulla facciata del primo o secondo tempio. 
Cripta aperta al pubblico l’8.12.1997 dopo lavori di consolidamento finanziati con fondi CEE gestiti dalla Comunità Montana del Pollino.  

Il 1500 è attraversato dalla superba figura dell’architetto e musico Giovanni Donadio, 1449-1530 (?) caposcuola del rinascimento napoletano.  

Non ho notizia di uomini o studiosi e letterati del 1600.

Intanto la città che era stata governata dagli Orsini, passò nel 1612, ai Sanseverino che ne furono baroni. 
Nel 1624 il feudo fu ceduto a tale Muzio Guaragna e un suo erede, Francesco, il 16 marzo del 1635, vendè la baronia, per 16.000 ducati dell’epoca, a Persio Tufarelli.

Il 4 aprile 1795 Filippo Tufarelli, suo discendente, dopo 160 anni di gestione, la cedette al potere sovrano in cambio di una pensione annua di 136 ducati. 
Da allora Mormanno seguì politicamente la storia del Regno di Napoli fino all’avvento garibaldino per passare poi a far parte del Regno D’Italia.  

Tra gli studiosi e letterati del 1700 per troviamo:  
Antonio De Callis, Francesco Genovesi, Gaetano Ambrogio Rossi 1664-1767; Grisolia Michelangelo 1754-1794; Santo Maradei, Filippo Tufarelli. 

Nel 1800 incontriamo:
Antonio D’Alessandro, Domenico Anzelmi, Carlo Capalbi, Giuseppangelo Greca, Fedele Perrone, Beniamino Sala, Tommaso Guaragna Galluppi.  
Tutti hanno prodotto solo brevi studi pervasi da reminiscenze classiche, appena divulgati in cerchie strettissime, scritti per personale diletto o per omaggiare i potenti del tempo. 
Meritano invece attenzione:
i pittori girovaghi Angelo e Genesio Galtieri vissuti tra il 1700 e il 1800; 
il dottore in medicina e filosofia Francesco Filomena che scrive un Breve saggio sull’operazione dell’oppio e dell’aria fissa ed infiammabile negli animali secondo il sistema dell’elettricità Napoli 1781, in una ristampa curata dal dott. Giuseppe Leone, Pompei, dicembre 1986. Il Filomena che scrive nel 1781, può essere considerato un precursore di Galvani. Fu in corrispondenza con Alessandro Volta che solo nel 1800 renderà note le sue scoperte;  
il sacerdote. Francesco Saverio Bloise, autore di una grammatica latina e di un Vocabolario Latino-Italiano e Italiano-Latino;  
Perrone abate Nicola, studioso e autore, fra l’altro, di un vocabolario fatto in collaborazione con il Bloise.  

Nel 1869 viene fondata di un’Accademia culturale La Società Filomatica  che vedrà tra i suoi soci esterni anche Alessandro Manzoni. 

Vediamo ora cosa era successo nei secoli.
Sostanzialmente si era trattato di un lungo periodo di asservimento ai poteri dominanti.
Che cosa aveva lasciato  tale sottomissione? 
Nei nobili un’accentuata miseria dovuta alla progressiva perdita del potere politico ed economico.
Già alla fine del 1800 essi avevano venduto tutto, fondi agricoli, palazzi e case.
Oggi nessuno ricorda più il loro casato. Erano i Galizia, ex proprietari della casa Pandolfi, i Tufarelli, ex proprietari della casa Sarubbi, i Genovese, della casa del dottor Nicola Armentano, i La Terza, casa in via S. Caterina, i Sarno, attuale casa del geometra Leone, i Minervini.
Già erano scomparsi da oltre 100 anni: i Sala proprietari di quel magnifico palazzo ormai smembrato posto come una sentinella nella discesa dello Scarnazzo; i Pace, casa Grisolia e Alberti; i Fazio, i Ciliberti e qualche altro. Sono ancora presenti eredi dei Capalbi.
Nel clero,  prima  formato per lo più da nobili o borghesi,  che aveva dato alla Chiesa un Cardinale, Niccolò Sala, e quattro Vescovi, Paolino Pace, Pietro Fedele Grisolia, Giuseppe Rossi e Vincenzo Maria Armentano, era col tempo confluita una presenza più popolare che, in un contesto povero, vi cercò rifugio pur consapevole di avviarsi ad una vita fatta di sacrifici e di stenti. A tanti numerosi preti restavano come uniche occasioni per racimolare scarse e povere elemosine, la benedizione pasquale delle case, i funerali e le messe, comprese quelle in suffragio dei defunti. Si spostavano anche fuori paese per celebrare novene in santuari campestri, come quello della Madonna della Catena, o presso famiglie di contadini.    

Tra tanti bisognosi vi erano anche, frati cercatori, picòzzi e custodi delle varie chiese e cappelle,’nfèrti, cioè offerti ai vari servizi, quasi a titolo gratuito o godendo delle poche elemosine elargite in occasione delle feste del Santo cui s’erano dedicati.
Sopravvissuti fino agli anni ’60, ricordo ancora alcuni custodi. A S. Anna, Zà Brìcita, Brigida Rotondaro; alla Madonna della Catena, prima Zzù Pippìnu, Giuseppe Rotondaro, e poi Gennarino D’Alessandro. Oggi è custode della Cappella dell’Addolorata Franco Fasanella. Giravano per il paese a giorni diversi, questuando. Alcuni portavano in una mano una scatoletta di legno, un elemosiniere dentro cui si infilava dall’alto una moneta mentre sul davanti era incollato un santino che ti veniva mostrato per baciarlo e pregarlo. Avevano pure un’oliera in rame. L’olio raccolto serviva per la lampada votiva che doveva restare sempre accesa in onore del Santo o della Madonna. Nelle campagne il giro era stagionale e coincideva con i vari raccolti soprattutto quello del grano, delle patate, del vino.  

Solo l’Arciprete aveva un appannaggio più consistente che difficilmente divideva con i confratelli. 
La Parrocchia riscuoteva, anche se man mano sempre più ridotti, censi, interessi per lasciti o per enfiteusi.
Il popolo, non limitato nella sua prolificità dall’ignoranza, dal bisogno (più ci sono braccia più è assicurato il pane per la vecchiaia), dagli obblighi imposti dall’etica religiosa (crescete e moltiplicate), costretto a vivere in un posto isolato e avaro di risorse naturali, indifeso, non alfabetizzato, pativa i disagi più impensati derivanti dall’ ineguaglianza delle condizioni di vita, dalle carestie, dalle guerre, dalle epidemie, dagli obblighi pendenti. 
A lungo andare le frustrazioni avevano prodotto una rassegnazione quasi fatalistica ad un destino fatto di soprusi ed angherie. 
 Non si ha notizie di sollevazioni popolari. La miseria soffocava anche gli ardori. Il portarsi la mano alla bocca significava comprimere la rabbia ed evitare così azioni incontrollabili. 
Il 6 maggio del 1866 vi fu un accenno di rivolta popolare.  
Vedi: La rivolta del 6 maggio in Mormanno d’una volta di V. Minervini.

Continuo e asfissiante fu il vassallaggio .   
Nessuno aveva visto i Ferdinando, i Carlo o le Caroline. 
Se ne avvertiva però la presenza attraverso tutta una serie di obblighi e di carichi. Sempre presenti erano i Signùri Patrùni, i Signùri Cumpàri, i rappresentanti del Re e del governo che con astuzie e cavilli sfruttavano i poveri. 

Ferdinando II, re di Napoli dal 1839 al 1859, disse un giorno al suo primo ministro Cassano che avrebbe piuttosto lasciato la corona e abbandonata Napoli, prima di sottoscrivere una Costituzione. 

Nonostante tutto, questo era stato il popolo che aveva costruito, per ben tre volte, la sua chiesa, che era diventato esperto ed industrioso pastore (produttore di lane, pelli e formaggi), creatore di piccole industrie come le gualchiere, capace ed esperto nell’arte di trattare il legno.   

Rinomati erano i segantini di Mormanno che si recavano nella Sila e nel Cilento. I mestieri più comuni tramandati da padre in figlio, erano quelli del calzolaio, del maniscalco, del lattoniere, del falegname, del segantino, del sarto e del barbiere del contadino generico e di quello specializzato ad innestare la vigna, solforarla e irrorarla.

Tra il 1860 ed il 1900 il passaggio al Regno d’Italia non risolse alcun problema, fu poco desiderato.
Affiorò tutta la questione meridionale, irrisolta ancora ai nostri giorni.
Prima Firenze e poi Roma furono troppo distanti dalla realtà locale.
In questo periodo, alla lenta e progressiva scomparsa della residua nobiltà e del suo peso politico non seguì una pensosa proposta del clero che avrebbe potuto rivolgersi con più attenzione ai problemi della povera gente, abbandonata e vessata dai vari governi 

La Chiesa cattolica guidata da papa Leone XIII, umiliata dalla presa di Roma, impoverita con la spoliazione dei beni, dopo il Non expedit giunse faticosamente con la Rerum Novarum ad impostare una politica sociale cercando di riguadagnare la simpatia dei popoli e quella sua funzione di guida morale civile e religiosa. Questo travaglio ebbe poca eco a Mormanno. Gli arcipreti e i preti furono più attaccati alle tradizioni, più preoccupati per aver perduto privilegi che ricercatori di un compromesso moderno e in linea con i tempi che si andavano profilando. Bisognò aspettare fino agli inizi del 1900 per trovare qualche sacerdote nuovo e vocato. Ricordo Don Francesco Leone e Don Francesco Maria Sarubbi che condussero battaglie politiche a favore dei poveri abbandonando l’intransigenza leonina e abbozzando timidi tentativi di riconciliazione con il potere politico.

Il popolo vide così nell’emigrazione la sola speranza di salvezza. 
La prima, temporanea e stagionale, fu rivolta, come da consuetudine secolare, a paesi compresi per lo più nell’area meridionale. La seconda, quasi sempre definitiva, avveniva tra nazione e nazione con riguardo soprattutto all’America del sud ove l’accesso era libero.
Difficile era recarsi negli Stati Uniti occorrendo o un visto speciale o una richiesta di lavoro o la chiamata di un parente mallevadore. Pochissimi ebbero i requisiti per tale espatrio.
Tali gite furono una vera delusione perché l’insicurezza politica di quelle terre e l’aumentato afflusso migratorio europeo, non assicurarono lavoro e dignità.
Vedi le mie Le rondini di Mormanno.

Moltissimi dovettero adattarsi a svolgere attività precarie, umilissime, generiche e saltuarie. 
Altri, scoraggiati per il fallimento, ritornarono più poveri di quando erano partiti. 
Alcuni, più orgogliosi, fecero perdere le loro tracce, e morirono in estrema miseria. 
Nonostante la mancanza di infrastrutture e di incentivi a Mormanno non vi fu una renitenza delle iniziative locali.     Laboriosi e solerti concittadini di estrazione medio borghese in alternativa agli esodi e a quella economia agricola che non aveva prodotto ricchezza, crearono una Mormanno industriosa.  
Vedi in Uomini illustri di Mormanno il capitolo Avvenimenti che hanno determinato il progresso di Mormanno.

Alle vecchie imprese di sapore medievale quali le concerie, i caseifici, le fabbriche della cera, le tessiture al telaio si affiancò la produzione dell’energia idroelettrica, 1895.  
Vedi: D. Crea Società, economia, imprenditoria a Mormanno tra l’800 e il ’900, Ed. Il Coscile 1995.

Sorsero nuovi mulini che presero il posto di quelli ad acqua, lanifici, segherie. Alcune di tali attività proseguirono fino agli anni cinquanta del secolo scorso. 
Un altro fattore di sviluppo culturale fu la presenza, a partire dalla seconda metà dell’800, della scuola elementare divenuta obbligatoria, limitata al sono centro abitato, condizionata dalla mancanza di risorse statali e gestita da una comunità impoverita. Solo dopo la riforma Gentile si parlò di scuole rurali. Se ne istituì una: a Procitta.

Piccoli apporti diedero al paese i rappresentanti politici locali della fine dell’800 e della prima metà del 1900.  Ricordo i deputati Fazio F. Maria, il barone Fazio Luigi, il signor Antonio La Terza.  
Al deputato Francesco Morelli, invece (n. 1837 m. Castrovillari 23.08.1890) si deve, 1887 (?), la deviazione per Mormanno della Strada Statale 19 delle Calabrie nel tratto Castelluccio-Campotenese. La vìa nòva, come allora venne chiamata, consentì al paese, per secoli isolato, più rapidi collegamenti con Napoli e Cosenza, poli ove era rivolta tutta l’attività commerciale.  
Alcuni commercianti mi raccontavano dei lunghi ed avventurosi viaggi che dovevano affrontare per recarsi a Napoli e come altri, nel lungo periodo del brigantaggio, vi si recavano non senza aver prima fatto testamento perché alle rapine seguiva a volte anche la morte. 
In pieno regime fascista Mormanno ebbe come deputato l’on. prof. Amedeo Perna. Poco o del nulla significanti furono i suoi apporti. Per la cronaca dirò, riportando da R. Zangrandi Il lungo viaggio attraverso il fascismo, pag. 362, 363 Ed. Feltrinelli,427-9/UE, 1963, che il Nostro: 
“si prosternava davanti al regime per rendere gli onori alla Mostra della Rivoluzione Fascista, allestita nel Palazzo delle Esposizioni di Via Nazionale a Roma, partecipando, 17 ottobre 1934, con la prima muta esterna guidata dalla medaglia d’oro Oddone Fantini, a montarvi la guardia”

L’Avv. Vincenzo Minervini ebbe più a cuore il paese ed i compaesani. Vedi altri miei scritti.

La guerra italo-turca (1911-1012), la prima guerra mondiale (1915-1918) che causò la morte di ben 68 concittadini tra cui il tenente Gaetano Alberti insignito di medaglia d’oro, l’epidemia della spagnola diffusasi tra il 1918 e il 1920, produssero un ulteriore scoramento.
Dopo il grande sacrificio imposto dal Re Soldato il successivo momento che doveva sfociare in un clima di rinnovamento e di pace, vide invece affermarsi gli ismi ove erano pervenute le filosofie, creando un fossato che seppellì libertà e democrazia. 
A Mormanno il fascismo fu essenzialmente di parata. Dopo Giuseppe Cornacchia, colonnello in congedo, podestà (nomina governativa) dal 1926 al 1928, ricoprì tale carica, l’avvocato Francesco Rossi, dal 1929 al 1937. In questo stesso anno muore a Burca Hobu Lencia (26-28 agosto) Silvio Paternostro che verrà poi insignito di medaglia d’oro. Tra il 1938 e parte del 1939, è capo dell’amministrazione comunale l’avvocato Gustavo La Greca cui segue, restante 1939, l’insegnante Angiolo Armentano. Dal 1940 fino a giugno del 1942, ricopre la carica l’avvocato Armando De Callis, cui segue un commissario prefettizio, ed infine, 1943, il dottor Benedetto Longo. Dal 1944 al 1945 fu sindaco (mandato popolare) Giuseppe Uguzzoni, emiliano, ex confinato politico. 
La fine della guerra coincise pure con la chiusura della miniera di manganese pètri firrìgni, un lavoro ben organizzato che aveva occupato tanti paesani, e con quella del ginestrificio che aveva sostenuto molte fabbriche del nord fornendo la materia prima in tutto il periodo dell’autarchia.  
Lo stivale non si era allungato in Africa né il mare era divenuto nostrum. Tutto era finito in lacrime e lutti. 
Pochi tornarono dopo essersi bruciati sotto il sole africano o gelati nei freddi deserti spazzati dall’impetuoso burano. 
Il primo dopoguerra fu difficile. Le campagne non si ripopolarono: la mancanza di lavoro generò insicurezza e scoramento. Difficile era anche il clima nazionale.  

Il 2 giugno del 1946 fu quella svolta che segnò definitivamente il fallimento delle albagie. 

Ancora troppo lenta era la rinascita. Tra il 1947 e il 1950 si ritornò all’antica vecchia speranza dell’emigrazione. Molti commisero l’errore di rivolgersi all’America del Sud. Fu un vero e proprio fallimento.  
In quegli stessi anni intanto nel resto del Paese la politica liberista tracciata da Einaudi permise la ricostruzione, e, soprattutto in virtù degli ingenti aiuti americani, riuscì a far raggiungere all’industria i livelli dell’anteguerra. Più tardi il boom economico portò benessere e il lavoro, più disponibile, diventò una vera conquista sociale.
A Mormanno, tra la fine del 1950 e il 1970, il Pastificio D’Alessandro, primo esempio di industria moderna, allontanò fame e miseria. Quanto è accaduto, a partire dagli anni ‘60 ad oggi, non è trattato nel presente schema storico perché merita una disamina attenta che sarà oggetto di un apposito lavoro. Solo per fare qualche cenno voglio sottolineare che un’accesa politicizzazione ha caratterizzato gli anni 1970-1980 durante i quali pur se si sono costituite alcune realtà come il Consorzio di Bonifica e l’Ospedale, non si sono create tuttavia quelle condizioni atte ad offrire lavoro a tutti i giovani che hanno continuato  a cercarlo altrove impoverendo sempre più il paese di opere e di idee. 

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